IL PRETORE O S S E R V A Con atto di querela del 1 marzo 1989 Bonu' Giovanni e Bonu' Gianluigi chiedevano procedersi nei confronti degli odierni imputati. A seguito di richiesta del p.m., il g.i.p. ordinava l'archiviazione degli atti con provvedimento 19 novembre 1990. Per i medesimi fatti gli stessi querelanti, insieme con Sorlini Agnese, proponevano nuovo atto di denuncia in data 11 aprile 1991. All'esito della nuova fase di indagini preliminari il procedimento penale si concretava nella emissione di decreto di citazione a giudizio da parte del p.m. La difesa degli imputati, in relazione alla proposizione del nuovo atto di querela in epoca successiva al termine decadenziale dell'art. 124 del c.p., chiedevano dichiararsi la mancanza di condizioni di procedibilita'. In tale contesto il potere del p.m. di riaprire l'indagine dipende, ai fini della procedibilita', esclusivamente dal primo atto di querela, senza che alla decisione ostino il provvedimento di archiviazione o il nuovo atto di querela da ritenere un atto a carattere sollecitatorio in presenza di quello originario. Incidentalmente si osserva che nel previgente sistema processuale il provvedimento di archiviazione non poteva essere oggetto di contestazione, ne' la richiesta relativa soggetta ad opposizione, privo com'era del complesso di garanzie previste dai vigenti artt. 408/2 e 409/6 del c.p.p. a favore della persona offesa, che, percio', non poteva piu' interloquire (tale era la situazione degli attuali denuncianti). Dall'inquadramento cosi' operato della fattispecie deriva che il parametro normativo a cui rifarsi e' quello dettato dall'art. 414 del c.p.p. Alla luce di tale disposizione si palesa l'anomala sequenza processuale in esame caratterizzata dalla mancata richiesta di riapertura delle indagini al g.i.p. con successiva nuova iscrizione della notizia di reato nel relativo registro, una volta ottenuta l'autorizzazione ex art. 414 del c.p.p. La norma in esame mira evidentemente a consentire un vaglio sui motivi (nuove investigazioni) addotti dal p.m. a sostegno della propria richiesta: la conclusione e' suggerita dal dato testuale della legge delega (direttiva n. 56). Una conferma e' data dalla relazione al progetto preliminare: "L'autorizzazione sara' concessa anche quando non siano emersi nuovi elementi e l'organo dell'accusa si limiti a progettare al giudice un nuovo piano di indagine che puo' scaturire dalla diversa interpretazione degli elementi gia' acquisiti" (Gazzetta Ufficiale 24 ottobre 1988, n. 250, supp. ord. n. 2, pag. 101): viene ribadita tale conclusione nella relazione definitiva: "tenuto conto della particolare delicatezza della materia, e' stato poi previsto che la riapertura delle indagini dopo l'archiviazione venga autorizzata dal giudice con decreto motivato" (ibidem, pag. 188). Non e' convincente la tesi opposta che prevede l'emissione del decreto come atto dovuto, recepito da parte della dottrina e della giurisprudenza (cass. pen., sez. II, 5 febbraio 1991, Ventrilla, riv. pen. 1992, p. 82 e giur. It. 1992, II, c. 602): anche con l'introduzione di questo meccanismo (oltre a quello dell'art. 407 del c.p.p.) il legislatore ha posto un limite all'esercizio, altrimenti indeteterminato nel tempo dell'attivita' inquirente. L'apparato sanzionatorio previsto per il rispetto di tale fase procedimentale esplica effetti solo parziali: infatti, gli atti compiuti successivamente all'effettuale riapertura delle indagini non saranno utili per l'acquisizione di prove nel processo, intervenendo la previsione dell'art. 191 del c.p.p. Diversamente, la formulazione del decreto di rinvio a giudizio emesso dal pubblico ministero non trova sanzione che ne elimini gli effetti. Mentre non e' prospettabile la questione della legittimita' costituzionale in relazione all'art. 112 della Costituzione, con riferimento alla disciplina dell'archiviazione (Corte costituzionale 31 luglio 1990, n. 409 e Corte costituzionale 12 ottobre 1990, n. 445) si impongono diverse conclusioni in relazione al corretto esercizio dei poteri del p.m. in relazione al diritto di difesa dell'imputato: l'esercizio incondizionato dell'attivita' inquirente successivo al decreto di archiviazione non trova alcun limite (oltre a quello sopra evidenziato) nella disciplina vigente. L'esercizio dell'azione penale concretantesi nell'emissione del decreto di citazione ai sensi dell'art. 554 del c.p.p. si svolgera' al di fuori di ogni controllo, consentendo la riviviscenza di indagini al cui esito si era giunti a conclusioni difformi (archiviazione). Nei termini appena proposti risulta evidente la rilevanza della questione: il diritto di difesa dell'imputato verrebbe menomato - inibito ogni intervento al g.i.p. - impedendo alla parte di eccepire avanti al giudice del dibattimento la nullita' del decreto di citazione a giudizio. Cio' anche in considerazione del fatto che non e' consentito allo stesso giudice sindacare la diversa ed opposta valutazione compiuta dal p.m. circa l'esito dato alle indagini preliminari. Manca, in conclusione la sanzione della nullita' - in costanza del regime di tassativita' ex art. 177 del c.p.p. - del decreto di citazione a giudizio disposto senza autorizzazione alla riapertura delle indagini.